Meditare in tempi difficili
15/4/2020 ◎ Last update: 23/03/2023 23:49 ◎ vipassanadhammameditation ◎ By Paul R. Fleischman ◎ Taken from pariyatti.org
Meditating in Troubled Times 2017: download text (eng, ita) and English streaming Audio
(Testo di una conferenza tenuta a Colonia, Germania nel 2017)
Vi parlerò di Vipassana come di un sentiero che attraversa un mondo di incertezza. Oggi molti sentono di vivere un tempo problematico. Lo scorso anno ho tenuto una serie di conferenze attraverso gli Stati Uniti sul tema delle basi biologiche della meditazione; su come la meditazione agisca concretamente nel nostro corpo e nel nostro cervello.
Alla fine, ero così interessato alla biologia, uno dei miei interessi principali, da decidere che l’anno successivo - quest’anno — avrei fatto discorsi ancora più dettagliati e complessi sulla effettiva biologia implicata quando si medita, la ragione per la quale la meditazione risulta così salutare, utile e naturale.
Ma un giorno di novembre ho realizzato che nessuno sarebbe stato interessato a un discorso di questo tipo. Ognuno aveva in mente un’unica idea: “c’è qualcosa che ci preoccupa”.
Qualcosa ci sta preoccupando come individui e come comunità globale. Ovviamente, come insegnante di Vipassana non posso né cambiare né affrontare tutte le questioni globali, politiche o sociali. Il mio compito adesso sarà quello di esaminare come la meditazione può aiutarci a vivere, come può essere un sentiero in un mondo di incertezza.
E dirò che ci può dare orientamento, flessibilità e stabilità. Alcuni di questi aspetti sono leggermente diversi fra loro — flessibilità e stabilità sono quasi opposti - eppure cercherò di spiegare che la meditazione ci può aiutare in tutte queste direzioni.
Un sintetico riesame della biologia della meditazione evidenzierebbe che essa attiva percorsi preesistenti dentro di noi. Nell’antico modo di esprimersi diremmo che siamo nati col seme del dhamma, e nel moderno modo di esprimersi diremmo che nel corpo umano, nel sistema nervoso, nel sistema endocrino, ci sono percorsi che portano alla pace, alla saggezza, alla socievolezza, e sentimenti trascendenti che possono guidarci verso un eccellente stile di vita. Sono già strutturati dentro di noi e la meditazione ci insegna come attivare e usare al meglio questa nostra dotazione di Homo Sapiens.
Dunque, la prima cosa da ricordare quando affrontiamo un mondo problematico è che siamo nati con la capacità di tornare alla sensazione di pace. È una sensazione che esiste dentro di noi. È un frutto del modo in cui il sistema nervoso può essere codificato. E i nostri pensieri, insegnamenti, lezioni, la pratica nella meditazione, ci possono aiutare a ripristinare costantemente questa sensazione di pace interiore. Utilizzo l’espressione “pace interiore”, Goenkaji usa il difficile termine “equanimità”. Sto semplicemente rendendo la parola equanimità con un termine più semplice: pace interiore. Ricordiamo come l’insegnamento tradizionale, il linguaggio antico, non la biologia moderna, ci ha descritto il funzionamento di questa pace interiore: i nostri pensieri e le emozioni emergono nella nostra mente. Generalmente, crediamo semplicemente nei nostri pensieri e nelle nostre emozioni e reagiamo al mondo come i pensieri e le emozioni ci dicono di reagire.
Quando impariamo a meditare impariamo a osservare la nostra mente e il nostro corpo, e al contempo impariamo a osservare tutti i pensieri e tutte le emozioni che sottostanno alle sensazioni che tali pensieri e tali emozioni creano nel corpo, nonché a osservare le sensazioni che sono la causa dei nostri pensieri e delle nostre emozioni. Quindi le sensazioni sono sia la causa dei nostri pensieri e emozioni sia le nostre reazioni ai nostri stessi pensieri e emozioni. Dunque, il nostro corpo è brulicante di pensieri e emozioni e imparando a osservare le sensazioni piuttosto che reagire a esse (o semplicemente a credere nei pensieri e nelle emozioni), diventiamo osservatori della realtà che sottende tutto ciò che pensiamo e proviamo. E quella realtà consiste nel fatto che viviamo all’interno di una struttura complessa e mutevole di cose minuscole. Siamo nuvole di aggregati temporanei.
Il Buddha ha spiegato che ogni cosa nel mondo fenomenico è impermanente. Nella scienza moderna diciamo che i nostri corpi sono aggregati di cose minuscole. A seconda del livello di analisi che adottiamo parliamo di atomi o di particelle subatomiche. Siamo aggregati di queste cose, e ogni aggregato segue le leggi dell’entropia, quindi i nostri corpi e le nostre menti si disgregheranno. Questo è l’insegnamento del Buddha. È anche l’insegnamento della lezione di fisica che si terrà in questo edificio quando ce ne saremo andati oggi.
Quindi la pace interiore è richiamata alla nostra attenzione quando impariamo a osservare la realtà fondamentale che sta alla base della nostra esistenza, e quella realtà essenziale è la nostra transitorietà e impermanenza.
Ma la scienza non insegna come vivere dentro questa realtà in modo trascendente. Vivere la realtà in modo trascendente significa poter andare oltre il mero dolore, la mera dukkha, il mero smarrimento che la vita comporta. Perché la vita porta vita, transitorietà, decadimento e disgregazione. Ma il sentiero del Buddha si discosta dalla scienza proprio nel suo insegnarci a generare emozioni che danno senso alla vita, che ce la fanno sentire preziosa, le danno valore e orientamento nonostante essa sia impermanente e destinata alla disgregazione. Quindi come studenti del Buddha stiamo seguendo la scienza moderna dell’entropia, ma stiamo anche seguendo la sapienza antica che ci insegna a trovare qualcosa oltre l’impermanenza e la transitorietà.
Coltivare la pace interiore è facile perché è già codificato dentro di noi. Facendo un corso di neurologia si studiano cose come l’ipotalamo: una parte della mente che presiede a tutte le funzioni corporee sia nello stato di moto sia nello stato di assoluto riposo. Quando dormiamo non smettiamo di respirare, quindi il nostro corpo è configurato per il riposo assoluto. Abbiamo anche altre parti del sistema nervoso, come il sistema nervoso parasimpatico, una parte della nostra dotazione, del nostro hardware, che ci consente un rilassamento molto profondo.
Al contempo, imparare la pace interiore è anche estremamente difficile. Temo che se dicessi a un gruppo di vecchi studenti che coltivare la pace interiore è naturale e facile verrei lapidato — inizierebbero a lanciarmi addosso oggetti — perché è anche molto difficile. È difficile perché abbiamo un sistema adattivo che ci insegna la pace e la calma, ma ci insegna anche strategie di sopravvivenza. Non siamo fatti solo per dormire la notte, siamo fatti anche per fronteggiare la quotidianità. E quanto maggiori sono i segnali che mettono alla prova la sopravvivenza nel quotidiano, tanto più il sistema nervoso risulterà smosso.
Se si vive in un mondo in cui ci si sente minacciati, il sistema nervoso risponderà innalzando i segnali adattivi dicendo di fare di più, sforzarsi di più, cercare con più forza di sopravvivere. Anche la vita più armoniosa e facile presenta comunque delle sfide e delle minacce; quindi da un lato siamo fatti per la pace interiore, ma dall’altro siamo fatti per lottare, elaborare strategie, pensare, pianificare, fare e non rilassarci, non essere in pace. Quindi ci sono due programmi in competizione; così quando sediamo per meditare sediamo motivati a essere in pace con noi stessi e invece troviamo centomila pensieri e sogni a occhi aperti e paure e desideri e progetti, bramiamo che avvengano cose piacevoli, elaboriamo strategie per evitare che avvengano cose sgradevoli.
Solitamente l’insegnamento della meditazione spiega come superare, o quanto meno ridurre se non superare, alcune delle vecchie ferite, paure, traumi, dubbi e difficoltà che ci portiamo appresso quando arriviamo alla soglia di un corso di dieci giorni. Dunque, la meditazione ci aiuta a non vivere nel passato, ma nel presente. Ma a volte il presente si presenta come molto difficile, sembra che anche qualora riuscissimo a superare le nostre illusioni e delusioni passate, i nostri sankhara passati, anche se li superassimo ci troveremmo comunque in un mondo che porta a provare un senso di pericolo, perché appare insicuro e incerto.
Fino a pochi anni fa ero molto riluttante a fare discorsi ai vecchi studenti. Non c’è davvero una grande necessità di discorsi ai vecchi studenti nella nostra tradizione. Quando ero incaricato da Goenkaji di qualche specifico lavoro come insegnante, ciò di cui io e Susan eravamo incaricati era parlare di Vipassana a professionisti e intellettuali occidentali che non ne sapevano nulla. Eravamo interpreti. Al di là di questo, il Dhamma è già completo di per sé. Goenkaji ci ha dato l’insegnamento completo. Non c’è nulla da aggiungere. Pertanto, non c’è necessità di discorsi ai vecchi studenti. Inoltre, se si è dimenticato quel che si era appreso, basta tornare a fare un altro corso oppure, attualmente, si possono scaricare i discorsi dal sito web.
Quindi che senso ha fare un discorso ai vecchi studenti? Perché oggi siamo qui a farlo? E perché l’ho fatto anche con altri vecchi studenti? Pare che con i tempi che cambiano alcuni, pochissimi, punti di chiarimento siano necessari proprio in virtù del mutare dei tempi. Un punto da chiarire è come le persone possano mantenere una pratica due volte al giorno in un mondo tanto accelerato, tecnologico, affollato e rumoroso quale il nostro mondo contemporaneo; potete trovare on-line il discorso che ho fatto ai vecchi studenti su questo tema. Ma il discorso odierno è stato stimolato da una questione diversa. Ed è il tema del percepire che viviamo tempi problematici, di fronte a cui una domanda sorge nella mente di molti: la meditazione mi aiuterà se il problema non consiste semplicemente nel superare i miei sankhara passati? Come la mettiamo se sono le circostanze presenti a preoccuparmi? La meditazione sarà ancora efficace? Altre persone si chiedono con preoccupazione: la meditazione sarà solo un modo per calmarsi? È effettivamente il caso di tranquillizzarsi? Sarà davvero il caso di sentirsi in pace quando si percepisce che molte cose sbagliate stanno avvenendo nel mondo intorno a noi? O bisognerebbe essere in non pace? Dunque, questo discorso è stimolato da una specifica richiesta degli insegnanti locali e da problemi specifici. In generale, dobbiamo ricordare che i discorsi ai vecchi studenti non sono sempre necessari, ma occasionalmente può sorgere una questione, come in questo momento: cosa si fa in questo tempo problematico?
Una cosa alla quale pensare è che quando meditiamo e proviamo un po’ di equanimità e di pace interiore stiamo purificando un pezzettino del pianeta terra. L’immagine che mi viene, l’ho scritto a margine, mi è venuta in mente stamattina, è quella dei purificatori elettronici di aria. Se vivi in una città inquinata puoi comprare uno di questi purificatori. Hanno un filtro e si collegano alla presa della corrente elettrica; un piccolo ventilatore soffia l’aria attraverso il filtro e questo purifica l’aria. Non significa che purifichi la città, purifica solo l’aria in una stanza. Ed è ciò che accade quando meditiamo, semplicemente si purifica l’aria di una stanza. È un risultato piuttosto limitato e non cambia il pianeta, ma nondimeno porta un po’ di aria pura in città.
C’è un’altra cosa da considerare riguardo al pensiero sulla questione della pace interiore, indipendentemente dal fatto che sia o meno una cosa giusta alla quale aspirare in un mondo di pericolosità e preoccupazione. Gran parte di ciò che sentiamo come tossico, gran parte delle difficoltà che ci troviamo a fronteggiare, gran parte di ciò che ci sta stimolando a sentire paura o rabbia o pericolo… proviene dalle informazioni dei media, e le informazioni dei media creano un quadro di riferimento. Letteralmente si tratta di una cornice, di un’immagine incorniciata. All’interno di quell’immagine è collocata una qualche informazione. Di solito la gente guarda la televisione e riceve informazioni visive e verbali compattate dentro una piccola cornice. Se si guarda su pc è la stessa cosa: una piccola cornice di informazioni. Il mondo, questo pianeta sul quale viviamo, ha oltre 4 miliardi di anni; gli esseri umani hanno circa 150.000 anni. La nostra cultura, così come la intendiamo, ha diverse centinaia di anni. È stato un grande piacere per me scoprire che questa città, Colonia, ha 2000 anni ed è stata fondata dai Romani.
Se ci pensiamo, i notiziari sono quasi totalmente astorici, si concentrano su qualcosa che è appena avvenuto. Ogni giorno cambiano e, praticamente ogni giorno, ciò che è stato detto in precedenza viene dimenticato e accantonato in modo da mantenere acceso l’interesse. Il quadro è sempre molto immediato e molto ridotto.
Una cosa che si può fare, e che raccomando, è chiedersi quanto ci si sta esponendo a una fonte di informazioni visive e cognitive artificiale, intenzionalmente formattata, controllata e non necessaria. Cosa succederebbe se ascoltassimo un’ora di informazioni alla settimana? Davvero diventeremmo cittadini irresponsabili? O saremmo meglio informati perché il tempo in cui non abbiamo guardato la televisione o consultato altre fonti via pc lo abbiamo trascorso utilizzando la mente per cercare fonti diverse di informazione, fonti alternative, fonti storiche.
C’è un professore al MIT, è un docente di strategia internazionale. Studia armi nucleari — una vita molto temeraria, quella passata a pensare alle armi nucleari. Si chiama professor Gavin. Lavora al MIT, potete verificare. Ha un sito web e in un saggio pubblicato nel suo sito, che si intitola “Pensando Storicamente”, utilizza un esempio: tutti i responsabili politici del mondo, tutti i capi di Stato, tutti i leader, i generali, gli strateghi nucleari, tutti i pacifisti pensavano che il mondo sarebbe andato in un certo modo e, completamente fuori dall’inquadratura, non coperto da alcuna notizia, in clandestinità, nel riserbo internazionale, il mondo è stato radicalmente modificato dall’invenzione dell’iPhone. Quindi le notizie che stiamo leggendo, ascoltando o alle quali stiamo pensando non sono le informazioni principali. E possiamo sfidare noi stessi a chiederci quanto ci lasciamo controllare e manipolare: come meditatori il nostro compito è vivere con la realtà così com’è.
Un’altra difficoltà che i meditatori potrebbero subire o saggiamente evitare è ciò che viene definito trauma vicario. Se salti fuori e mi accoltelli non avrò solo una ferita, ma mi sentirò anche traumatizzato. Non saprò più di chi potermi fidare. Quindi avrò una ferita mentale oltre che fisica. Cosa avviene invece se non vengo accoltellato, ma vedo qualcuno accoltellare qualcun altro? Non è capitato a me. Non è un problema mio, ma mi sento comunque traumatizzato, seppur indirettamente. Ho guardato te che venivi accoltellato e quel trauma mi è stato trasmesso sebbene non sia avvenuto a me. La televisione ci traumatizza intenzionalmente forzandoci a vedere traumi che stanno interessando altre persone, di cui si potrebbe facilmente essere informati attraverso media non visivi che non ci esporrebbero al trauma.
Qualche anno fa ho sentito una delle grandi esperte statunitensi, la dottoressa Lenore Terr che è una psichiatra infantile, una donna anziana, una delle grandi figure nello studio dei traumi infantili. Ha chiesto ad un gruppo di psichiatri: “Quanti di voi hanno visto i terribili eventi dell’11 settembre alla TV?” praticamente tutti hanno alzato la mano. Fortunatamente per me, non ho alzato la mano. Lenore Terr ha continuato: “Io non li ho mai visti. Non mi esporrei mai a un’immagine televisiva che continua a ripetersi e a ripetersi; un’immagine video traumatica è traumatizzante.” Per mia fortuna non possiedo una televisione, quindi ho un trauma vicario in meno rispetto a quasi tutti i cittadini del mondo.
Una volta di più, possiamo chiederci se la pratica della meditazione, se il regalo al mondo rappresentato dalla nostra meditazione, sia davvero rafforzato dalla nostra esposizione ai media, se stiamo guardando i notiziari per essere cittadini meglio informati o se stiamo consentendo a noi stessi di essere allontanati dal più grande dono che abbiamo da offrire: la pace interiore che generiamo. Questa può quantomeno disintossicare e purificare una stanza, e in relazione a questo, come vedremo meglio nel resto di questo discorso, magari genereremo stati d’animo che disintossicheranno molto più di una stanza.
Ho accennato all’età del nostro pianeta e della nostra specie, di come siamo eredi di 150.000/200.000 anni di esperienza all’interno della nostra sola specie, e di oltre quattro miliardi di anni di evoluzione della vita. E questa esperienza è all’interno della nostra biologia, all’interno del nostro sistema nervoso, ed è attraverso questo che abbiamo la saggezza di essere meditatori.
Ma c’è un’altra questione prospettica che possiamo considerare e che ci aiuterà a liberarci da alcune delle paure che ci vengono propinate dal piccolo riquadro che compatta informazioni delle quali non necessariamente abbiamo bisogno o voglia.
Ho iniziato dicendo che questi sono tempi problematici ed è certamente vero. Ma questi non sono tempi duri. Sono tempi facili. Ritengo importante che quando parliamo fra amici o quando riflettiamo “fra noi e noi” non usiamo l’iper-linguaggio inflazionato ed esagerato che i nuovi media creano per noi. Questi non sono tempi duri. Qual è un esempio di tempi duri? Bene, io sono nato nel 1945, giusto un paio di giorni prima che gli Stati Uniti sganciassero le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Nei dieci anni che precedettero questi attacchi nucleari, dunque i dieci anni prima della mia nascita, dal 1935 al 1945, approssimativamente 50/80 milioni di persone sono state uccise da altre persone. Fra i 50 e gli 80 milioni.
Le cifre esatte non sono note perché ci sono state talmente tante persone uccise da non poterle contare. Ad esempio, quando la Cina è stata invasa dal Giappone nessuno ha contato quante persone sono state uccise; negli assedi delle città sovietiche nessuno contava quante persone venivano uccise. A volte intere città morivano di fame. Dunque, nessuno sa quante persone siano effettivamente scomparse e 50/80 milioni sono stime, ma senza dubbio non meno di 50 milioni. Ci sono storici che cercano di ricostruire questi dati. L’Unione Sovietica ha perso da sola 27 milioni di esseri umani.
Quelli erano tempi duri. Questi non sono tempi duri. Quindi vogliamo ricordare e costantemente richiamare a noi stessi che, nell’affrontare i nostri problemi, non dovremmo esagerarli o immaginare che siamo unici nella condizione umana. La condizione umana ci richiede di essere in grado di affrontare difficoltà. Ci sono sempre difficoltà, ma quelli tra noi che hanno vissuto dopo il 1945 sono stati molto fortunati, probabilmente tutti in questa stanza dobbiamo ritenerci molto fortunati. Io mi ritengo molto fortunato.
La guerra non è stato l’unico veicolo delle morti di massa. Uno storico delle epidemie di Harvard ha fatto notare che il vaiolo è stato sradicato nel ventesimo secolo. Oggi riteniamo che non ci sia più traccia di vaiolo sulla terra. È durato approssimativamente solo fino al 1970, ma fra il 1900 e il 1970 circa 300 milioni di persone sono morte di vaiolo. Scommetto che nessuno di loro è arrivato a conoscere la meditazione.
Quindi, una volta di più, mantenere una distanza prospettica rispetto al piccolo riquadro e spostare la prospettiva all’esterno verso il quadro più ampio ci aiuterà certamente a ricordare la grande fortuna che abbiamo di vivere in questi tempi e avere la possibilità di meditare e praticare un po’ di pace interiore.
Un altro elemento, un’altra prospettiva da tenere a mente è che viviamo nell’era della globalizzazione, un termine amato e odiato. Potrebbe essere la nostra Salvezza e il nostro maggior problema. Non sto considerando l’aspetto politico o economico della questione, ma semplicemente il fatto che ai tempi nostri le cose sono globalizzate. Ho un orologio di fronte a me e uno al polso e questi orologi vengono dalla Cina. Tutti sanno che viviamo nell’era della globalizzazione, che ci piaccia o no, ma non sono solo i prodotti a essere globalizzati, sono le idee a essere globalizzate e una delle idee che è diventata globale ai tempi nostri è la meditazione.
Quando sono nato, la meditazione non esisteva nell’emisfero occidentale. Non c’era luogo negli Stati Uniti, non c’era luogo in Europa dove si potesse imparare a meditare. Adesso quando entro nel negozio di alimentari dove facciamo la spesa — negozio del tipo bio-salutista — bisogna praticamente farsi largo fra le riviste che ti spiegano come essere un meditatore, come essere consapevole, come praticare Yoga. Tutto questo è avvenuto nell’arco di una vita, della mia vita, poco prima che alcuni di voi nascessero o da quando è nata la maggior parte di voi. Quindi un altro elemento da tenere a mente è che viviamo un tempo in cui la stessa idea di essere pacifici e di vivere in pace è diventata possibile. Prima, la vita in Occidente era concepita senza questo concetto.
Indipendentemente dal fatto che riteniamo questi siano i tempi migliori per via della longevità, della salute relativamente buona, dell’opportunità di meditare oppure che li riteniamo i tempi peggiori per il senso di minaccia che aleggia, per il frammentarsi della relativa armonia e della relativa stabilità con i quali abbiamo vissuto a lungo… a prescindere dal considerarlo il tempo migliore o peggiore, questo è il nostro unico tempo. Siamo nati ora.
Questo è il tempo in cui possiamo meditare. Quindi dire: “Non posso meditare perché sono messo alla prova da questo periodo storico” significa non aver capito la meditazione. Al contrario, la meditazione ci porta a dire: “Queste sono le sfide che mi sono state date, con le quali meditare”. È come quando meditiamo sui nostri propri sankhara. “Voglio il sankhara di quel ragazzo laggiù”. Voglio sbarazzarmi del mio, il mio è troppo difficile. Scommetto che il suo è più facile”. Sappiamo tutti che non si può ragionare in questo modo, quindi non lo possiamo fare neanche a proposito della nostra epoca storica. Abbiamo piuttosto bisogno di ruotare la nostra prospettiva e comprendere che si tratta della nostra grande opportunità di fronteggiare queste sfide con la saggezza del Dhamma.
Nella meditazione ci viene insegnato a cercare chiarezza mentale, una mente che vede le cose realisticamente, così come sono. E quella chiarezza ci aiuta a sentire le sensazioni, a sentire in modo sempre più sottile e vario le sensazioni attraverso tutto il nostro corpo; la nostra mente diventa chiara e possiamo sentire sensazioni ovunque, e diversi tipi di sensazione, e il cambiamento nelle sensazioni, e possiamo comprendere il significato delle sensazioni, che è: ogni cosa è cambiamento.
Ma la chiarezza che coltiviamo in una vita di meditazione non è solo mentale. C’è una controreazione, un circuito di feedback. Chi fra di voi è biologo, medico o coinvolto nel ramo sanitario oppure chi fra voi è ingegnere — circa 61 milioni di tedeschi credo — comprende che i circuiti di feedback (causando reazioni su di sé e autoregolandosi) sono il segreto della stabilità. Quindi il nostro corpo è letteralmente composto da migliaia o decine di migliaia di circuiti di feedback che regolano la nostra temperatura, il nostro ritmo cardiaco, il nostro sistema endocrino… quante cellule produciamo, a quante cellule consentiamo di spegnersi. E nella maggior parte dei sistemi ingegneristici ci sono circuiti di feedback che limitano la quantità di elettricità che circolerà attraverso un sistema in qualsiasi momento, definendo per quanto tempo una data parte del sistema resterà attivata. Dunque, quando meditiamo avvengono circuiti di feedback che sono influenzati dal nostro corpo, in quanto meditando osserviamo il nostro corpo, ma nel meditare stiamo anche influenzando il nostro corpo.
Ci viene detto che non possiamo scegliere le sensazioni. In un corso di dieci giorni non scegliamo le sensazioni, semplicemente le osserviamo senza giudicare qualunque cosa emerga. Ma in una vita di meditazione sicuramente modifichiamo le nostre sensazioni perché la nostra consapevolezza, la nostra chiarezza, la nostra pratica ci insegnano, ci guidano a vivere in modi che cambiano il modo in cui le nostre sensazioni sono generate. Ad esempio, chiunque mediti seriamente cambia la propria dieta. Non esiste una dieta per tutti i meditatori. Ognuno deve trovare la dieta adeguata a sé, ma quando diventiamo un meditatore la prima cosa che iniziamo a notare è che le sensazioni del nostro tratto gastrointestinale differiscono in base a quel che mangiamo e si può aumentare o ridurre lo stress nel tratto gastrointestinale a seconda di come si mangia. Tutti i meditatori diventano più sensibili alla propria dieta, al proprio livello di attività, al proprio modo di vestire, anche al posto in cui vivono, al lavoro che scelgono. Dunque, la meditazione induce chiarezza attraverso la chiarezza. La chiarezza è un circuito di feedback che produce chiarezza. Quindi chiarendo il modo di osservare le sensazioni e chiarendo la nostra mente in modo da poter osservare le sensazioni oggettivamente, senza tentare di modificarle, si genererà uno stile di vita che le cambia. Questo aiuterà a stabilizzarsi in una sensazione di pace che pervade il corpo e non interessa unicamente la tua mente.
Può essere che questa chiarezza fisica che generiamo sia anche come il purificatore d’aria che ho menzionato prima, il quale può purificare solo una piccola parte del mondo, ma certamente purifica l’aria della nostra stanza. E così il nostro corpo si sta autopurificando e potrebbe generare un po’ di purezza nel mondo intorno a noi, e altre persone potrebbero fruirne.
I cinque sila, i cinque precetti morali che ci impegniamo a rispettare quando iniziamo un corso, sono concepiti inizialmente per garantire un minimo di chiarezza mentale in modo da poter meditare. Se stiamo pensando a rubare o a mentire non saremo abbastanza tranquilli e armoniosi da poter osservare il nostro corpo e meditare. Quindi prendiamo l’impegno di non fare queste cose. Ma se viviamo una vita in sila, seguendo questi precetti morali, essi cambieranno la chiarezza della nostra mente sempre, costantemente.
Se non sono solo un’attività mentale, diventano un’attività che cambia la nostra mente e il nostro corpo, perché cambiando la mente si cambia il corpo. Così stiamo creando un altro circuito di feedback destinato a cambiarci e a cambiare il modo in cui interagiamo col mondo. Sila non sta solo cambiando le nostre azioni, non sta solo cambiando i nostri pensieri, ma sta cambiando i nostri corpi in quanto sta cambiando le nostre azioni e i nostri pensieri.
Quando si inizia a praticare come psichiatra si è molto inesperti e si affronta il lavoro più duro. Più si diventa vecchi, più diventa facile. Un problema difficile che ho avuto da giovane psichiatra era che ogni tanto, non molto spesso, ma saltuariamente, dovevo andare in ospedali psichiatrici e valutare assassini psicotici. Persone che non solo avevano ucciso, ma erano staccate dalla realtà, erano fuori dalla propria mente e i loro omicidi non erano causati da qualcosa che rispondesse a una convinzione o un obiettivo, si trattava unicamente di credenze psicotiche alle quali seguiva un omicidio.
La prima volta che sono entrato in una stanza con un omicida psicotico, un mio amico, persona più grande e più esperta, si è chinato verso di me e mi ha detto “Attento a quel che dici”. Non avevo programmato di essere cauto, ma avevo avuto qualche consiglio su come comportarmi con persone simili. Non da uno psichiatra, ma da un tossicodipendente. Uno dei miei primi pazienti era dipendente cronico dagli oppiacei, dunque era una persona che veniva arrestata, imprigionata, rilasciata, tornava a drogarsi, veniva rimandata in prigione, rilasciata, si drogava nuovamente… Un tossicodipendente cronico.
Ed ecco quel che mi ha detto sul modo di affrontare le persone dipendenti da oppiacei, e ciò vale anche per gli assassini psicotici: “Senti, non importa cosa una persona abbia fatto, non importa quanto malvagia sia stata in passato, non importa quanto si percepisca cattiva, non importa quanto si senta o non si senta in colpa, la cosa che ognuna di queste persone vuole è sentirsi rispettata. Semplicemente non disprezzare queste persone.”
Quindi ogni volta che mi trovo in una stanza con un assassino psicotico nella mia mente c’è questo: “Dimmi il tuo punto di vista”. Ascolterò dal suo punto di vista. Non ho detto che crederò al suo punto di vista. Dico che lo ascolterò. Rispetterò il suo racconto, che è diverso dal credere al suo racconto.
Sfortunatamente, sento che viviamo attualmente un’epoca nella quale il disprezzo è la modalità con cui avviene la comunicazione pubblica. Al posto dei dibattiti, i cosiddetti dibattiti televisivi sono forme teatrali che si specializzano nello scherno, nella derisione e nella mancanza di rispetto. I dibattiti si vincono a colpi di sprezzo e derisione.
Uno dei motivi per cui ho vissuto una vita piuttosto buona è che ho vissuto sotto l’influenza di un’educatrice delle scuole elementari. Mia moglie. Negli Stati Uniti — ma sono certo che è come minimo altrettanto vero in Europa - quando sei alle elementari ti insegnano che non puoi dire cose ostili o non rispettose agli altri bambini. Sarebbe quel che chiamiamo bullismo. Ora non dico che il bullismo non esista. Naturalmente esiste. Ma quantomeno ci viene insegnato a evitarlo, ci viene spiegato che è ostile, che il linguaggio sprezzante è inadeguato. Non è consentito. Non si può fare di fronte all’insegnante. Forse si può farla franca al parco giochi.
Ma fra adulti siamo scesi al di sotto del livello elementare. Non arriviamo al livello della scuola primaria. Ora, nella comunità Vipassana è necessario rimanere al livello elementare, che è quello in cui l’insegnante ci dice: non usare un linguaggio ostile e sprezzante. Quindi ci stiamo allenando a creare fra noi, nella comunità Vipassana, un contesto di sicurezza psicologica. Sicurezza psicologica significa che quando mi parli io posso sentirmi al sicuro. Sicurezza psicologica non significa essere sempre d’accordo. Significa dissentire quando non si è d’accordo. Ma dissentire in modo rispettoso, anziché attaccare la persona con la cui argomentazione non ci si trova d’accordo. Quindi quando si ascolta un assassino psicotico non si dirà: “Sono d’accordo. Hai fatto bene ad accoltellare mortalmente tua madre.” Si dirà invece: “Capisco che tu abbia sentito come necessario aggredire tua madre, ma voglio che tu sappia che non sono d’accordo che fosse la cosa giusta da fare”.
La sicurezza psicologica ha a che fare anche col tono di voce. Un tono di voce è qualcosa di diverso da ciò che si dice: è come lo si dice. Dobbiamo coltivare un tono di voce rispettoso. Se coltiviamo questa attitudine nella nostra comunità di Dhamma, possiamo sentirci più forti nel coltivare questo tono di voce al di fuori della nostra comunità di Dhamma, nelle nostre interazioni quotidiane con persone dalle quali dissentiamo.
Una delle cose che ho notato è che fra i miei amici negli Stati Uniti quando le persone sono in disaccordo su una posizione politica, sentono sempre di avere il diritto in prima persona di ridicolizzare e sminuire la parte opposta. I progressisti, i liberali, ridicolizzano e sminuiscono i conservatori per il loro uso di un linguaggio che ridicolizza e sminuisce. E viceversa. È un circolo vizioso.
Ritengo che il rispetto faccia parte del nostro stile di vita Vipassana, e dovremmo osservarci per essere sicuri di non prendere parte al ciclo globale di sensazioni che porta ad affermare: “Ho il diritto di disprezzare quell’altra persona perché sta a sua volta disprezzando altre persone.” Il mio paziente tossicodipendente, quello che mi ha insegnato che non disprezzando nessuno si è al sicuro anche in presenza di assassini, mi ha insegnato un’ulteriore cosa. Mi ha detto: “Non raccontare cavolate a nessuno. Se non sei d’accordo con qualcuno fagli sapere che non sei d’accordo. Se fai finta di concordare con persone come un assassino psicotico, se sei così carino con loro, così pretenziosamente empatico, sapranno immediatamente che li stai prendendo in giro e perderanno fiducia in te. Sapranno cha stai nascondendo qualcosa. Sanno che in realtà la pensi in altro modo.”
Quindi il nostro compito consiste nel parlare onestamente — la retta parola è la parola onesta e rispettosa. Come possiamo dire: “Non sono d’accordo, penso tu stia sbagliando” in modo non sdegnoso, non sprezzante, senza demolire qualcuno? Auspicabilmente, l’equanimità o pace interiore che generiamo meditando ci aiuterà a parlare in modo più calmo, onesto e rispettoso.
C’è una sensazione strana che avviene quando si medita. Spesso vado a sedere a dei corsi, siedo e questa tempesta salta fuori, salta fuori, salta fuori… E se mi chiedi il ventinovesimo giorno di un corso di trenta giorni “Com’è stato?” Rispondo “Ragazzi è durissima”. E poi quando il corso è finito si sente una tale devozione nei confronti della vita! Per la propria vita, per le lucertole che strisciano attorno se si sta meditando in India. Questa devozione è un evento automatico che capita a chi medita. Ma non è un’esclusiva dei meditatori. Quasi tutti i bambini hanno un sentimento di reverenza, quasi tutti osservano le stelle o l’erba, gli animali allo zoo o quelli che vedono in libertà, e hanno una qualche intuizione del fatto che siamo stati generati in un mondo preesistente dal quale siamo scaturiti, e questo mondo merita devozione. L’impermanenza della nostra propria vita è il più grande monito che abbiamo per la reverenza nei confronti di ogni forma di vita. Ci vediamo contornati dai semplici e grandiosi doni della vita stessa, e spesso quando terminiamo un corso di meditazione sentiamo di non aver bisogno di nulla più di ciò che abbiamo. Ci sentiamo ricchi, spiritualmente ricchi.
Tutto quel che sappiamo sulla meditazione ci è stato insegnato da altre persone. Dunque, la meditazione è un dono. È uno strumento che abbiamo ricevuto da altri. Abbiamo ereditato la ricchezza della nostra vita dalla biologia e dalla fisica del pianeta, e abbiamo ereditato la ricchezza della meditazione dalle persone che prima di noi hanno compreso, insegnato e praticato la meditazione. Questo significa essere nella realtà, la realtà è che abbiamo un sentimento di gratitudine. E quindi il miglior parametro di quanto uno sia nella realtà è un sentimento di reverenza, ed è un sentimento che i bambini hanno; e possiamo ricordare ad altre persone che anche loro lo hanno avuto. Le persone che vanno in giro piene di rabbia hanno semplicemente dimenticato qualcosa.
Dovremmo sapere cosa stiamo facendo e perché lo stiamo facendo e qual è il significato del perché facciamo ciò che facciamo, in modo da valutare quel che stiamo facendo, così da poterlo descrivere senza disprezzare nient’altro. È sufficiente spiegare, descrivere, per evitare di mancare di rispetto. Dunque, la purificazione è l’obbiettivo dato dal Buddha alla meditazione ed è qualcosa di diverso dal mero essere qui nel presente, o dall’essere cosciente e consapevole di ciò che si sta facendo. Questi non sono i nostri obiettivi. Il nostro obiettivo è il sentiero della purificazione. Ora, perché è così importante?
Ebbene, in primo luogo significa che la meditazione Vipassana è un sentiero progressivo. Tendiamo a progredire. Non è semplicemente essere qui e ora. Non vogliamo ritrovarci fra dieci anni a sguazzare nella stessa pozzanghera nella quale ci troviamo oggi. Ma ancor più rilevante è il fatto che l’atmosfera progressiva del sentiero, il movimento verso la purezza, l’intenzione di purificare il nostro cuore, significa che ogni giorno rappresenta un’opportunità con una direzione. Ho detto all’inizio che la scienza ci spiega l’entropia, ci insegna che l’intero mondo, tutto, io, tutti i miei pensieri, tutti quelli che conosco, questo edificio, questo pianeta, tutto è destinato a scomparire. Perché mai sviluppare attaccamento? La scienza ci spiega queste cose, ma non ci insegna a raggiungere la purezza. Il sentiero della purificazione è il sentiero dell’insegnamento del Buddha, e quando ascoltiamo il mondo intorno a noi vogliamo tenere a mente che stiamo cercando di indirizzare la nostra vita in una specifica direzione. E anche quando l’informazione viene a intossicare la nostra mente, il nostro compito è cercare di trovare un modo per conservare la nostra purezza.
Un problema che questo comporta, tuttavia, è il perfezionismo. Non dobbiamo pretendere che in questa esistenza ognuno di noi diventi un Buddha. Non vogliamo neanche pretendere che in questa vita ci perfezioneremo quanto altre persone intorno a noi. Possiamo sempre essere più o meno chi siamo, giusto l’edizione migliore, la migliore versione di noi stessi, ma sempre muovendoci in una direzione che non perdiamo mai di vista. Quindi da un lato dovremmo evitare attitudini di perfezionismo che potrebbero farci sentire inadeguati e generare negatività verso noi stessi, e d’altro canto dovremmo tenere a mente che l’oggi (la quotidianità) è un’opportunità.
Ci sono molte persone coraggiose e generose a questo mondo e ci sono molte persone non tanto buone a questo mondo. Se meditiamo e sentiamo di essere migliori delle altre persone coraggiose, valorose, generose, gentili, magnanime e nobili di questo mondo significa che la nostra meditazione ci sta rendendo persone presuntuose e autocelebrative. Quindi qual è il senso della meditazione se il mondo è già pieno di persone meravigliose, splendide persone che potrebbero essere tanto buone quanto noi o molto migliori di ciascuno di noi? Il senso della meditazione è che siamo persone che hanno deciso di meditare. Questo è il nostro sentiero. Abbiamo scelto. Non dobbiamo disprezzare persone diverse. Non dobbiamo pretendere di essere migliori di altri, che potrebbero essere anni luce avanti a noi senza aver mai sentito parlare di meditazione. Quel che dobbiamo tenere a mente è che per una qualche ragione abbiamo scelto questa modalità di crescita, e questa modalità di crescita ha alcune eccellenti caratteristiche. È chiara, possiamo praticarla, l’abbiamo sperimentata e ha funzionato per noi. Sappiamo che ci aiuterà perché abbiamo già avuto questa esperienza. Stiamo percorrendo il sentiero per ragioni basate sulla nostra propria esperienza, sapendo che siamo sul sentiero della purificazione, il sentiero della bontà del cuore. E possiamo astenerci dal compararci agli altri, possiamo astenerci dalla falsa vanità di essere migliori di altri.
Uno scrittore americano che ammiro molto ha detto che una persona ricca è una persona che può permettersi di prescindere dalle cose: tipo un uomo ricco che ha dieci macchine — non ha bisogno dell’undicesima. È una definizione niente male della ricchezza. Ma ce n’è una migliore, che viene dall’insegnamento del Buddha: la persona più ricca è quella che ha di più da donare. Il sentiero della purezza è un sentiero di ricchezza.
Volete sapere quando state praticando correttamente? Quando vi state arricchendo di purezza e avete di più da offrire. Bill Gates regala un paio di miliardi, gliene restano comunque una quarantina — non sta regalando granché. Il nostro sentiero è un sentiero nel quale proviamo a donare sempre di più — non soldi, naturalmente, ma sentimenti; dunque il sentiero della purezza è un sentiero di ricchezza del cuore. La maggior parte di noi sta andando nella direzione dell’autopurificazione, della purezza che è la direzione del nibbana così come è stato insegnato dal Buddha. Nibbana significa del tutto puro, senza più alcun residuo di negatività, ma la maggior parte di noi è piuttosto lontana da quel punto. Come molti meditatori, talvolta ho sviluppato una negatività sotto forma di sconforto pensando: “Wow. Ho così tanti sankhara quando medito, e il Buddha dice che ci libereremo da tutti i sankhara, non mi pare che capiterà a me.” Come avrete notato mi piace inventare parole, quindi ho inventato un termine che mi aiuta. Sto andando nella direzione del nibbana anche se non sono molto avanti in quella direzione. E la parola è nanonibbana: cerchiamo tutti di essere sicuri che stiamo camminando nella direzione del nanonibbana.
Voglio elogiare la solitudine. La solitudine in genere è vissuta come qualcosa di negativo. Quando ci sentiamo soli pensiamo: “È orribile, voglio liberarmene.” Perciò pensiamo alla solitudine come a qualcosa che vogliamo accantonare e di cui vogliamo liberarci. E una delle meraviglie del sentiero di Dhamma, del sentiero Vipassana, è che Buddha ha detto che l’amicizia rappresenta il cento per cento del sentiero. L’amicizia con i buoni e i saggi è cento per cento del sentiero. Quindi essere nel sentiero insieme agli altri, questo è il sentiero.
Anche se siamo lontani dal nibbana e stiamo solo lavorando nella prospettiva del nanonibbana, se ci impegniamo nel sentiero, benevoli con gli altri lungo il percorso, siamo nel sentiero, che è un sentiero di amicizia e solidarietà e tuttavia è un sentiero di solitudine.
Pensiamo alla vita del Buddha. Se n’è andato! Era — naturalmente secondo la leggenda — in un castello, attorniato dalla sua famiglia cioè genitori, moglie e figlio, e se n’è andato per rimanere solo. E nella leggenda se ne va col suo cocchiere e successivamente lo abbandona. Il sentiero del Buddha richiedeva un po’ di solitudine.
Poi quando ha iniziato a praticare, prima di diventare il Buddha, praticava in una comunità di amici — e se ne sono andati. Ed era nuovamente in solitudine. C’è un sutta conosciuto come “Il sutta del rinoceronte” in cui il Buddha dice che a volte la via corretta per praticare è come un vecchio rinoceronte che vaga solitario nella giungla. I rinoceronti sono animali molto solitari, quindi vagano da soli. Quindi se questo è un sentiero di amicizia perché è anche un sentiero di solitudine? Quando sediamo a meditare — e chi ha una lunga esperienza in una cella lo sa in modo più drastico — ma anche se stiamo semplicemente meditando ad un corso di dieci giorni, sappiamo che stiamo percorrendo il sentiero da soli. Sei tu che percorri il sentiero. E sei l’unico che possa percorrere il tuo sentiero. Pertanto, il sentiero è anche un sentiero che richiede l’abilità di apprezzare la solitudine.
Quando guardiamo ai nostri problemi sociali… a volte ci si guarda intorno e vedendo le cose che avvengono nel mondo ci si sente la persona più sola che sia mai esistita. Non sento nessun discorso, non leggo molti scritti di persone con cui mi trovo d’accordo. Più si ragiona con la propria testa più si è destinati a essere soli. Il modo migliore per non sentirsi soli è unirsi a un gregge, pensare come tutti gli altri. Quando vediamo i demagoghi attorniati da una moltitudine plaudente, la moltitudine festante sta fuggendo dalla propria solitudine, adottando uno stesso pensiero.
Quando Bob Dylan ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura quest’anno, non ha partecipato alla cerimonia, ma ha fatto un discorso e lo ha dato a qualcun altro da consegnare. Lo ha scritto. E ha detto che è più facile fare un concerto per 50.000 persone che per 50 persone, perché quando ci sono 50.000 persone insieme diventano semplicemente una sola persona. Applaudono per la stessa cosa, piangono per la stessa cosa, simultaneamente. Non sono più soli. Ma quando ci sono cinquanta persone, ognuna ha il proprio pensiero autonomo e se sbagli una nota diranno: “Hey, quel tipo sta suonando una nota sbagliata con la sua chitarra”.
Nel sutta del rinoceronte il Buddha dice — questa è una traduzione — “Rinunciando alla violenza, vedendo gli aspetti negativi delle attrattive sociali, la persona saggia, che valorizza la libertà, vaga sola come un rinoceronte.”
Paradossalmente, il precursore della vera amicizia è la solitudine. Amicizia vera è quando due individui si capiscono l’un l’altro piuttosto bene. Noi non capiamo mai neppure noi stessi — quando meditiamo siamo consapevoli che c’è così tanto dentro di noi, molte parti di noi ci sono sconosciute, ma arriviamo a comprendere noi stessi piuttosto bene. Avere un amico significa che c’è una persona che ci conosce piuttosto bene e che noi conosciamo piuttosto bene. Quindi se non siamo mai stati soli, se non abbiamo mai riflettuto su noi stessi, se non abbiamo mai compreso noi stessi, se non abbiamo mai meditato in profondità per arrivare a vedere chi siamo, come possiamo avere un vero amico? Quindi il sentiero verso l’amicizia si snoda attraverso la solitudine. Dunque, ho inventato un’espressione che dice: “E’ impossibile avere un amico se non si è soli”.
Goenkaji è morto nel 2013, e tutti abbiamo pensato a quel che abbiamo ricevuto da lui. Ho detto che ci poniamo in una prospettiva più ampia di quella che ci danno i telegiornali. Ci poniamo in una prospettiva più ampia della nostra vita, ci poniamo nella prospettiva dell’immagine più ampia che ci è data dalla scienza del Dhamma. E Goenkaji è stato il canale, il punto di riferimento attraverso il quale abbiamo ricevuto la pratica di Vipassana. Ci ha fatto molti regali — era un essere umano eccezionalmente ricco. Uno di questi doni al quale penso spesso è quello che ci dà durante un corso. Lo offre ripetutamente — dopo un po’ inizi a pensare: “Hey, lasciami in pace!” E lui: “ricominciate” e tu stai pensando: “Non voglio ricominciare! Voglio uscire da qui.” E lui: “Ricominciate, Ricominciate, Ricominciate.”
Ora lui se n’è andato. E dobbiamo vivere la nostra vita ricominciando costantemente. Ci sono momenti in cui ogni persona intelligente, riflessiva, sincera, dubiterà: il dubbio è parte dell’esistenza umana e viene trasceso solo verso la fine.
A volte la gente sostiene di non dubitare, questo significa semplicemente che si tratta di persone cocciute o fanatiche. La persona riflessiva osserva il mondo e si sente sfidata. Ma Goenkaji ci ha dato la chiave dell’insegnamento, che è basata sui sutta originari dove il Buddha dice che c’è una virtù più importante di tutti i parami in quanto tutti i parami riposano su questa virtù: la diligenza. Essere diligenti significa ricominciare. Quindi il nostro insegnamento non può esistere e sarebbe privo di valore senza questa frase specifica, e attraverso il resto delle nostre vite dovremo ricominciare. Le persone che traggono beneficio da Vipassana sono quelle che conoscono due parole: cominciare nuovamente. E le persone che abbandonano il sentiero sono quelle che non hanno capito queste due parole.
C’è un’espressione in psichiatria, il termine “internalizzazione”. Quando un bambino impara qualcosa, inizialmente imita, ma dopo un po’, se l’imitazione prosegue nel tempo, il bambino internalizza. La grammatica viene internalizzata, il vocabolario è internalizzato. Posso usare il mio solo e unico linguaggio senza pensarci. Non devo immaginare come costruire una frase. È internalizzato. Tutti sanno che quando si impara una lingua c’è un momento in cui si sta costantemente tentando di riprodurla, si sta costantemente lottando per dire qualcosa; e poi arriva un altro momento in cui si sta effettivamente parlando la lingua: è stata internalizzata. Magari non la si parlerà in modo perfetto, ma l’abbiamo internalizzata.
Noi vogliamo continuare a praticare la meditazione fino al punto di internalizzarla. Non posso pensare senza usare la lingua inglese — quando mi siedo a pensare, la mia mente si muove nella lingua inglese. Non posso vivere senza meditare. Il nostro obiettivo è meditare, ricominciare, ricominciare, finché la meditazione è internalizzata nel nostro cervello e quando ci sdraiamo la sera per andare a dormire stiamo meditando e quando ci svegliamo al mattino stiamo meditando; perché il meditare è già stato internalizzato nella nostra neurologia allo stesso modo della grammatica. La meditazione è un atto di fede nel valore della vita. Ogni giorno delle nostre vite, se siamo meditatori, è una sfida a vivere nel dhamma, e non è facile. Il mondo non è di sostegno. Il mondo ci sfida presentandoci difficoltà. Non vogliamo trovarci a pensare: “E’ un’ingiustizia. Ho fatto un pessimo affare. Sarei dovuto nascere nel XII secolo, la peste bubbonica era molto più divertente.” Al contrario, vogliamo trovarci a pensare: “Questa è la mia vita. Questi sono i miei tempi. Sono nato adesso. Queste sono le mie sfide. Il mio Dhamma deve essere abbastanza saldo da lavorare con queste sfide.”
È vero che l’oscurità ci circonda, ed è la ragione per la quale siamo andati in cerca della luce. È vero che a volte siamo confusi, ed è per questo che abbiamo bisogno di seguire un sentiero che ci dia una direzione. È vero che ogni essere umano prova solitudine, ed è per questo che il Dhamma è anche un sentiero di amicizia. È vero che i nostri personali sankhara emergono e noi stessi ci arrabbiamo o ci sfiduciamo e dubitiamo. Ed è per questo che ricerchiamo il sentiero della trasparenza del cuore, o autopurificazione.
La meditazione è lo strumento che può avvicinarci alla luce, al sentiero, all’amico e al cuore.
This talk was originally given to an audience of Old Students (i.e. those who have completed a 10-Day Vipassana course as taught by S.N. Goenka). Accordingly, it contains language and concepts that are familiar to Old Students, and it may not make sense to someone who is not familiar with this terminology.
More information about Vipassana can be found at https://www.dhamma.org. Audio of this talk in English can be found here: https://store.pariyatti.org/Meditating-in-Troubled-Times-Dr-Paul-R-Fleischman-Vipassana© 2017 Paul Fleischman
Meditating in Troubled Times 2017: download text (eng, ita) and English streaming Audio